Cinquecento anni fa moriva Leonardo da Vinci. Aveva lasciato Firenze da oltre dieci anni, ma alla sua città era rimasto profondamente legato. Per tutta la vita si definì ‘pittore fiorentino’, chiese nelle volontà testamentarie di essere sepolto nella ‘giesia de sancto Fiorentino de Amboysia’ e dedicò uno dei suoi ultimi ricordi scritti al serraglio dei leoni che si trovava dietro Palazzo Vecchio. Il foglio dedicato all’animale totemico di Firenze porta la significativa data del 24 giugno 1518, giorno del patrono cittadino.
Proprio nel nome di questo legame, la sua città lo celebra oggi con la mostra "Leonardo da Vinci e Firenze. Fogli scelti dal Codice Atlantico", che presenta, in Palazzo Vecchio, dodici carte vergate da Leonardo, provenienti dalla Biblioteca Ambrosiana e proposte in un percorso dal 29 marzo al 24 giugno, rende noto il Comune di Firenze in un comunicato.
“Una mostra su Leonardo nell’anno Leonardiano, a 500 anni dalla morte, quando tutta Italia e oltre festeggiano il Genio con eventi, iniziative ed esposizioni, è stata una sfida doverosa e avvincente – ha dichiarato il sindaco Dario Nardella - della quale ringrazio la curatrice Cristina Acidini, studiosa appassionata che ha trovato una diversa narrazione dell’artista caratterizzata dal rapporto sempre solido e mai dimenticato con la nostra e sua città”.
Il Codice Atlantico, conservato nella storica biblioteca di Milano, è composto da 1119 fogli, contenenti per lo più scritti e disegni di Leonardo da Vinci. Dopo l’imponente lavoro di restauro del Codice, nel 2008, la Biblioteca Ambrosiana stessa ha organizzato ben 24 mostre, contribuendo così a mettere a fuoco la portata e la natura dell’ingegno di Leonardo: ‘Ingegno eccelso, poliedrico e dispersivo’, come lo definisce Cristina Acidini nella bella introduzione al catalogo.
I 12 fogli scelti, che non sono gli unici in cui si trovano richiami a Firenze, sono stati scritti tra gli anni Settanta del Quattrocento e la morte di Leonardo, nel 1519, e hanno una straordinaria capacità evocativa. Grazie al contributo di esperti dei diversi argomenti trattati, di ogni foglio la mostra fornisce la motivazione per la quale è stato incluso, a partire dal primo che contiene la nota frase “Sandro, tu non di' perché tali cose seconde paiono più basse che le terze”, interpretata come una critica alla prospettiva di Botticelli e che rimanda ai tempi in cui i due frequentavano la bottega di Andrea del Verrocchio, gettando le basi di una confidenza, che tuttavia non escluse mai la rivalità.
Chiude l’esposizione un solo quadro, proveniente dalla Pinacoteca Ambrosiana, di Gian Giacomo Caprotti, detto Salaino, e raffigura il ‘Busto del Redentore’. Non trattandosi di un'opera riconosciuta come di Leonardo da Vinci, il dipinto tuttavia è connesso, per vie ancora misteriose ma inequivocabili al Salaino, del quale reca la firma o il soprannome, Salai, uno degli assistenti più cari a Leonardo, che lo seguì nel soggiorno a Firenze nei primi anni del Cinquecento. Questa effige d'indubbio sentore leonardesco, fa ancora molto pensare e discutere.
Il biglietto è incluso nell’ingresso a Palazzo Vecchio.