Introdotto con decretazione d’ urgenza nove anni fa, l’ obbligo di gestire in forma associata le funzioni fondamentali nei Comuni fino a 5mila abitanti è una delle norme più rinviate d’ Italia. Ora, dopo la catena degli slittamenti, esce definitivamente di scena.
A sancirne l’ addio è la sentenza 33/2019 depositata ieri dalla Corte costituzionale (presidente Lattanzi, redattore Antonini), che la boccia perché troppo rigida. La regola (articolo 14, comma 28 del Dl 78/2010) avrebbe imposto infatti le alleanze obbligatorie per le funzioni fondamentali ai piccoli Comuni (sopra 5mila abitanti, sopra 3mila nei territori classificati come montani) senza tener conto del fatto che in molte aree raggiungere anche quella dimensione minima è praticamente impossibile senza aggregare Comuni anche molto distanti fra loro. In questo contesto, la regola avrebbe dovuto prevedere la possibilità per le amministrazioni locali di dimostrare, dove la geografia o la demografia complicano troppo le gestioni associate, l’ irrealizzabilità di «economie di scala» e di «miglioramenti in termini di efficacia e di efficienza».
Nella sentenza i sindaci trovano quindi scritte molte delle ragioni che fin dal 2010 hanno animato le loro battaglie contro le griglie rigide tentate dalla norma. Ma la Corte fa di più. Spiega che le «funzioni fondamentali» dei Comuni, cioè l’ indicazione puntuale dei compiti assegnati agli enti che più intrecciano la vita quotidiana dei cittadini, sono «ancora oggi contingentemente definite con un decreto-legge», nato peraltro da «ragioni economico-finanziarie» più che da un compiuto ragionamento ordinamentale. Il cuore dell’ autonomia comunale, sottolineano i giudici costituzionali, è quindi «relegato a mero effetto riflesso di altri obiettivi», in genere legati a questioni finanziarie come i tentativi di federalismo fiscale o le varie forme di spending review. Il risultato sono norme malfatte, proprio come quella che ha tentato senza successo di imporre le gestioni associate.
Per capire che la questione è centrale basta ricordare che in Italia sono 5.500, cioè il 69% del totale, i Comuni che non raggiungono i 5mila abitanti. E la sua attualità si fa ancora più stretta se la si incrocia con il nuovo lavorio sull’«autonomia differenziata», che prova a ripensare il ruolo delle Regioni e imporrebbe quindi di ripensare l’ equilibrio con le competenze locali.
La sentenza andrà studiata bene, insomma, anche dal tavolo tecnico-politico guidato dai sottosegretari Candiani (Lega, Viminale) e Castelli (M5S, Mef) che sta preparando le linee guida per la riforma del Testo unico degli enti locali. Nato proprio dall’ ultima sospensione all’ obbligo di gestione associata, scritta nel Milleproroghe estivo, il tavolo punta a riscrivere ad ampio raggio gli ordinamenti locali, a ripensare le Province con la possibilità di ritorno all’ elezione diretta (Sole 24 Ore del 15 febbraio) e a riscrivere le regole su default e pre-dissesto.
(da Quotidiano Enti Locali)